Il Centro Storico all'epoca di Monti
Quando nell'agosto del 1973 Paolo Monti fotografa Modena, il centro storico aveva già iniziato a svuotarsi. Rispetto agli anni Cinquanta i residenti si erano dimezzati, passando da oltre 30mila a 16mila. Questo perché il forte sviluppo urbano del Dopoguerra aveva portato le persone a trasferirsi progressivamente nelle nuove aree in periferia che venivano costruite un po' alla volta, dove le case erano più confortevoli e le condizioni igieniche migliori che in centro.
Rispetto a molti altri centri storici dove la popolazione più povera era stata espulsa in maniera massiccia, all'inizio degli anni Settanta, nel centro storico di Modena, si concentrava ancora una forte percentuale di "emarginati", come erano definiti nel Rapporto sul centro storico del 1973 "pensionati e casalinghe a basso reditto e gli operai, in prevalenza di recente immigrazione", che abitavano le case del centro, molto spesso in condizioni abitative estreme. Basti pensare che un terzo degli alloggi del centro non avevano né doccia né vasca da bagno e oltre la metà erano senza termosifoni.
L'immigrazione in città era alta, trainata dal forte sviluppo economico che attirava tante persone in cerca di lavoro da fuori. Non stranieri, che all'inizio degli anni Settanta non c'erano, ma italiani provenienti da zone del Paese più povere e meno industrializzate, metà dei quali dal Sud Italia. Un quarto delle persone che arrivavano da fuori andava a abitare in centro storico, dove c'era più disponibilità di alloggi in affitto a prezzi più bassi. E in centro storico si concentravano soprattutto i meridionali, che qui erano il 13% degli abitanti e meno del 5% nelle altre zone della città. Le condizioni di povertà materiale e culturale, le difficoltà di inserimento dovute a costumi e abitudini diverse, l'inadeguatezza della scuola a correggere questi squilibri evidenziate nel documenti dell'epoca sono molto simili a quelle di cui si sente parlare oggi rispetto alla più recente immigrazione dall'estero.
Lo svuotamento progressivo del centro da parte dei residenti si arresta negli anni Novanta, quando gli abitanti tornano a crescere, prima timidamente e negli ultimi dieci anni in una maniera più decisa, grazie soprattutto alle fasce giovani e benestanti della popolazione che scelgono il centro come luogo in cui vivere, andando a insediarsi nelle nuove residenze ricavate dal recupero immobiliare di numerosi edifici fatiscenti. Se da un lato il restauro di diversi palazzi, piazze e strade del centro storico ne ha migliorato l'estetica, dall'altro ha innescato evidenti cambiamenti sociali ed economici. I nuovi alloggi ristrutturati hanno infatti prezzi elevati, che i vecchi residenti non si possono permettere: le fasce più deboli della popolazione, anziani e immigrati in primis, sono state in gran parte espulse dal centro e sostituite con famiglie più abbienti, tranne che in alcune aree, quelle tra via Tre Re e San Paolo e quelle tra via Carteria e Rua Muro in primis, dove gli alloggi hanno mantenuto la connotazione popolare, rimanendo di proprietà pubblica e destinate a famiglie in condizione disagiata, anche dopo la ristrutturazione.
Anche dal lato commerciale, la riconversione a residenza di diversi fabbricati ha fatto sì che tanti locali prima adibiti a negozi siano diventati garage. L'apertura dei grandi centri commerciali negli anni Novanta ha amplificato l'impatto sul tessuto economico del centro: sono spariti quasi del tutto le attività artigiane, come calzolai e sarti e hanno chiuso molti piccoli negozi, soprattutto alimentari; i locali più grandi sono stati colonizzati da catene commerciali e franchising che riescono a fronteggiare meglio gli aumentati costi di affitto. Il modello della "città vetrina", pensato più per rispondere alle esigenze commerciali e di svago di turisti e frequentatori occasioniali che ai bisogni quotidiani degli abitanti, si consolida anche con la progressiva limitazione del traffico automobilistico avviata a partire dagli anni Ottanta e alla conseguente pedonalizzazione di diversi spazi pubblici, che, allo stesso modo degli interventi di recupero edilizio, non producono solo una trasformazione dello spazio fisico ma anche degli usi che le persone fanno del centro storico.
Le fotografie di Paolo Monti, in cui il centro storico è completamente privo di auto è un artificio costruito per meglio documentare lo stato di conservazione dei palazzi e delle strade, ma non riflette per niente la situazione dell'epoca, quando le auto circolavano liberamente e parcheggiavano dappertutto: le fotografie d'archivio con il semaforo in Corso Duomo davanti alla facciata della Cattedrale, le auto in coda in via Taglio e in via Castellaro, la rotatoria in piazza Pomposa, le macchine parcheggiate in piazza Matteotti, in piazzetta San Giacomo e addirittura in Piazza Grande sono solo alcuni esempi di com'era davvero il centro storico nel 1973: un'area viva e vissuta, in cui conviveva degrado e splendore, povertà e ricchezza, un'area piena di traffico e rumore ma anche di bambini che giocavano per strada, di artigiani, di cinema (degli undici cinema che c'erano allora ne è rimasto solo uno), di macellerie e negozi di frutta e verdura, un'area con la concentrazione più elevata della città di poveri e emarginati ma anche di avvocati, notai e altri professionisti: gli avvocati con lo studio in centro erano il 94% allora e oggi sono la metà, i dentisti sono passati dall'83% al 9%, i commercialisti dall'88% al 14% e lo stesso è successo a ingegneri e architetti.
Il centro storico di allora era un'area in movimento, luogo di contrasti e di cambiamento, luogo da tutelare per conservarne la fisicità e la memoria storica ma allo stesso tempo impossibile da tenere cristallizzato. Nei decenni successivi è cambiato molto: è stata in gran parte risanata, ripulita, ristrutturata la sua immagine esterna, adesso è il momento di dedicarsi all'anima.
Il centro tutelato
La campagna fotografica affidata dal Comune di Modena a Paolo Monti si inserisce in un dibattito più ampio sulla tutela dei centri storici che attraversava le città italiane in quegli anni. Sulla spinta dell'esperienza bolognese del Piano Cervellati per il Centro Storico di Bologna del 1969, anche a Modena all'inizio degli anni Settanta si inizia a ragionare del recupero e riqualificazione del centro storico, molto degradato e progressivamente abbandonato dalla residenza, con importanti edifici monumentali disponibili da destinare a nuovi usi e funzioni.
Un profondo mutamento culturale nel rapporto tra tutela e trasformazione della città, alimentato dal contributo di intellettuali, cittadini e forze legate all'Associazione Italia Nostra, orienterà la Variante Generale del Piano Regolatore del 1975 sulle strategie di recupero del centro storico. Gli obiettivi prioritari del Piano riguardavano il risanamento edilizio di diversi comparti, il recupero di grandi edifici storici per ospitare attività culturali pubbliche e di alta formazione, la delocalizzazione delle attività economiche incompatibili con la struttura fisica e sociale del centro e il potenziamento del commercio di vicinato e dell'artigianato.
Il Piano è anticipato da un imponente lavoro di raccolta e analisi di dati sul centro storico, che confluirà nel primo Rapporto sul Centro Storico, di cui il lavoro di Paolo Monti costituiva un approfondimento: vi è confermata l'intenzione dell'Amministrazione comunale di "mantenere la residenza popolare nel centro storico, con interventi pubblici che invertano le spinte privatistiche alla trasformazione del centro in zona esclusivamente direzionale e di consumo". Emerge anche l'idea di conservazione del centro storico, legata "in primo luogo alla 'conservazione' del suo uso e delle sue funzioni e quindi della funzione residenziale e degli strati sociali in esso attualmente presenti".
Nel decennio successivo all'approvazione del Piano nel centro storico sono state recuperate oltre 1500 abitazioni, tra cui tutte quelle intorno a piazza Redecocca, via Tre Re e San Paolo e realizzato un comparto PEEP nell'ex convento Santa Chiara; vengono recuperati anche il palazzo Delfini come sede della Biblioteca comunale, il palazzo S.Margherita per la Galleria Civica, la palazzina Vigarani all'interno dei Giardini Ducali, ma viene anche riqualificata Piazza Grande e altri spazi nella zona centrale della via Emilia. Il recupero del centro storico viene sistematizzato nel Piano per il Centro Storico di Cervellati approvato nel 1987, nel quale, accanto agli interventi di riqualificazione di numerosi comparti, viene regolamentato l'accesso e la circolazione dei veicoli, con un'estensione della Zona a Traffico Limitato e un ampliamento delle aree pedonalizzate nella città storica.
Il confronto tra le foto scattate nel 1973 e quelle del 2023 mostra l'impatto che hanno avuto gli interventi di pianificazione negli ultimi cinquant'anni e sottolinea come la conservazione e la tutela delle architetture possano produrre effetti di segno opposto sugli abitanti e sul tessuto economico del centro storico.